I film di Fast and Furious (o meglio: i film di Fast and Furious dal 4 in avanti) sono – ed è oggettivo, eh – il più bel regalo che il cinema abbia fatto all’umanità negli ultimi dieci anni.

Auto che saltano da un grattacielo ad un altro, auto che vengono lanciate con il paracadute, auto che dirottano un aereo cargo, gare di velocità tra Lamborghini e sottomarini nucleari si laghi ghiacciati, carri armati che distruggono viadotti dell’autostrada, grandinate di pugni, gente che blatera di “famiglia” ma poi ha come unico obiettivo nella vita il coito, barbecue, birre Corona e poi Vin Diesel, Paul Walker, Jason Statham, Tyrese Gibson, Gal Gadot, Ludacris e poi ancora Kurt Russell, Helen Mirren, Charlize Theron. E infine The Rock, una star che ormai ha acquisito l'aura di un essere onnipotente.


- ILLIMITATO POTERE! -

Se tutte queste cose messe assieme in una saga cinematografica non  vi danno gioia, beh, peggio per voi. 

Ultimamente  l’affetto nella famiglia cinematografica di Toretto sembra venuto meno, viste le ben note liti tra Dwayne “The Rock” Johnson da una parte e Vin Diesel e Tyrese Gibson dall’altra. La conseguenza è che Dwayne, probabilmente, non sarà in Fast 9 e al suo posto entreranno nel cast John Cena e Michael Rooker. Ma perdere un personaggio come il suo Luke Hobbs sarebbe stato un gran peccato e così ecco lo spin-off in cui recita la fianco di Jason Statham, alias il nemicoamico Deckard Shaw.


- Quando mamma e papà litigano ne soffre tutta la famiglia - 

Dirige David Leitch, ex stuntman che da quando è passato dietro la macchina da presa non ha sbagliato un colpo diventando nuovo guru del cinema action: John Wick, quella perla rara di Atomica Bionda, Deadpool 2 e, appunto, Hobbs and Shaw. 

Potrei limitarvi a dirvi che Hobbs and Shaw, proprio come i recenti film del franchise di Fast and Furious fa bene all’anima e chiuderla qui, ma oggi ho la logorrea e mi va di dilungarmi elencandovi quattro motivi quattro che fanno di Hobbs and Shaw il miglior buddy movie degli ultimi anni:

  • Ceffoni potenti e sempre ben assestati. Merito del direttore d’orchestra David Leitch, appunto.
  • L’alchimia tra i due protagonisti. Testosterone, spacconate, physique du role, Jasno Statham che è il simbolo vivente del cazzodurismo e il poderoso braccio di The Rock che, dopo aver staccato una mitragliatrice da un elicottero con un braccio ingessato e aver deviato un missile con la sola forza del suo bicipite, stavolta prende al lazo un elicottero militare. UN. ELICOTTERO. MILITARE.


    - sì, con quel suo braccione lo sta tirando giù –
  • La voglia di esagerare. Da Fast 6 in avanti era chiaro che con questo franchise si andasse oltre le normali corse d’auto, sconfinando nel supereroistico. La famiglia di Toretto è praticamente un team di Avengers su ruote. Non stupisce, dunque, che il villan di Hobbs and Shaw sia un supersoldato potenziato, e cioè Brixton, il Superman nero con il volto di Idris Elba, al soldo di una misteriosa multinazionale in perfetto stile Hydra. Un'overdose di patinata ignoranza action che vi farà dimenticare cone si usa un congiuntivo.
  • Una versione più divertente con una propria mitologia di personaggi. Hobbs and Shaw è una declinazione più comedy di F&F che ha già gettato le basi per uno o più sequel arricchendo sequenze che altrimenti sarebbero state banali con l’introduzione di macchiette come l’agente della CIA Locke interpretato da un incontenibile Ryan Reynolds che ha scritto i folli dialoghi di Locke, un tizio ossessionato dal Trono di Spade che crede di essere il migliore amico di Hobbs al punto da tatuarsi un enorme maori identico a quello del suo idolo. 

Alla luce di quanto scritto non mi resta che salutarvi con un’ovvia considerazione: se non avete visto Hobbs and Shaw avete perso un’occasione per migliorare le vostre vacanza estive e, più in generale, la vostra qualità della vita.

Io vi saluto con l'immancabile link alla mia pagina Facebook e vi aspetto lì per commentare - ovviamente in maniera entusiastica – Hoobs and Shaw.

Nell'affollato mercato dei fumetti USA Jonathan Hickman è uno sceneggiatore con uno stile inconfondibile. Tanto nei suoi lavori su serie creator-owned – come The Manhattan Projects, Black Monday o East of West – che in storie di supereroi come i suoi Avengers, Hickman si rivela meticoloso architetto di universi narrativi molto articolati. Proprio per questo può essere bollato, a una prima occhiata, come uno scrittore "complicato". La realtà, invece, è che Hickman è uno che inevitabilmente non piace ai lettori causali e a chi, nei fumetti e nella narrativa in genere, predilige storie d'avventura canoniche e spegni cervello. Al contrario un lettore hardcore, che cerca una storia stimolante con una continuity interna rigidamente sviluppata, generalmente ama i lavori di Hickman. Lavori che si distinguono anche per la ricerca di una caratterizzazione che arriva attraverso l'originalità. East of West, ad esempio, è una splendida fusione la la science-fiction ed il western, mentre The Manhattan Projects è una spassosissima epopea che distorce la vicenda del progetto Manhattan trasformando il presidente Roosvelt in un'intelligenza artificiale e sostituendo Einstein con il suo doppelgänger malvagio proveniente da un'altra dimensione.

Fin qui abbiamo parlato di Hickman e del suo modo di fare fumetti. Una cifra stilistica che è molto riconoscibile già dalle prima pagine di House of X, albo che segna il suo debutto sui mutanti di casa Marvel. 
La Casa delle Idee ha dato carta bianca ad Hickman al punto da – chiudere tutte le testate mutanti in corso di pubblicazione - Uncanny X-Men, Age of X-Man, X-Force e Mr. and Mrs. X - per lasciare spazio esclusivamente a House of X e Powers of X, le due miniserie da 6 numeri ciascuna che, proprio in queste settimane, arrivano alternativamente e con cadenza settimanale nelle fumetterie statunitensi. Dodici albi in tutto che saranno il viatico per introdurre i lettori nel nuovo universo mutante che, dopo anni di storie a fumetti troppo spesso prescindibili, vuole fortemente ripartire. Un'operazione che ricorda quel che Marvel fece ormai quasi venti anni fa, quando nel 2001 affidò a Grant Morrison con i suoi New X-Men il compito di rivitalizzare le avventure degli inquilini della scuola Xavier per giovani dotati.

Certo, dopo aver letto solo il primo albo di House of X è difficile dire se sarà vera gloria. Tuttavia già da queste poche pagine traspare un progetto molto ambizioso in cui Hickman getta sul tavolo un nuovo status quo per la comunità mutante a livello globale. Una situazione che, inevitabilmente, si ripercuoterà su tutto l'ecosistema supereroistico delle testate Marvel.

Non a caso, come dicevo in apertura, il world-building è il primo mattone su cui poggiano le storie di Hickman. Un'operazione così meticolosa che, per presentare l'universo narrativo con dovizia di particolari, si avvale – come in tutti i suoi precedenti fumetti – di pagine con schemi, grafici ed elenchi (in uno di questi, ad esempio, vengono rivelati tutti i mutanti di classe omega) e persino ad un alfabeto creato ad hoc. A proposito: i simboli alfabetici di House of X #1 sono gli stessi presenti nei balloon di Nightmask sulle pagine degli Avengers di Hickman, questo perché lui ama autocitarsi e collegare con un filo tutte le storie che ha creato per Marvel.

L'impatto potente di House of X sul lettore è dovuto anche ad una prosa asciutta ma d'effetto e alla sensazione di essere al cospetto di una saga ad ampio respiro con un taglio da blockbuster cinematografico. Un approccio che ricorda per molti versi quello che ebbe Hickman proprio su Avengers e New Avengers, anche lì due testate che si intrecciavano ed una scrittura talmente carica di enfasi da sfociare nell'arroganza. 

Benvenuti nell'era di Hickman, o meglio: di HiXman

Io vi saluto con il link alla mia pagina Facebook.

Intorno all'anno 1000 o giù di lì, delle navi aliene precipitano in terra vichinga stravolgendo la plurriennale lotta tra due fazioni di vichinghi in una battaglia tra norreni potenziati ed un signore della guerra proveniente dallo spazio profondo.
Ok, quello del mash-up di genere non è proprio una novità. Vichingi e alieni si sono già incontrati in Outlander, film del 2008 con Jim Caviezel e, più in generale, l'inserimento di alieni nei più disparati contesti è un espediente relativamente ricorrente: basti pensare al non troppo fortunato Cowboys & Aliens di Jon Favreau o a Indiana Jones e il regno del teschio di cristall... no. I film di Indiana jones sono tre e Il teschio di cristallo non è mai esistito, scusate.
Per chiudere questa carrellata di mash-up fuori contesto, non possiamo non menzionare quello che è diventato un vero e proprio cult: Kung Fury ed il suoi laser-raptor che, guarda caso, si trovavano proprio nell'era vichinga.

Dei bambini con delle doti speciali nascono da donne che non sapevano di essere incinte (no, non è un porogramma di Real Time) e vengono adottati da un miliardario con lo scopo di salvare il mondo. Il suddetto miliardario assembla un team composto da sette di questi bambini con superpoteri per combattere minacce non convenzionali come la Torre Eiffel incazzata (?!?). Col tempo, questi piccoli eroi diventano una famiglia disfunzionale di adulti con superproblemi che viaggiano nel tempo, sconfiggono la statua di Abramo Lincoln, vengono assaliti da vietcong vampiri e persino coinvolti nell'omicidio di Kennedy.

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Dop aver raccontato la storia dell'hip hop con il suo Hip Hop Family Tree, Ed Piskor si cimenta con un macrocosmo di storie ben più intricato, quello dei mutanti Marvel. A partire dalla creazione per mano dello storico duo di architetti della Casa delle Idee composto da Stan Lee e Jack Kirby, passando per la celebrata e lunghissima avventura targata Chris Claremont, quella degli X-Men è una soap opera supereroistica immensa, fatta di amicizie, amori, battaglie, lotte sociali, tradimenti, viaggi nel tempo e nello spazio e tanti, tantissimi personaggi. L'ambizioso intento di Piskor è quello di condensare, in soli sei albi di poco più di 40 pagine, quasi 300 numeri della testata regolare degli X-Men usciti tra il 1963 (primo numero firmato appunto da Lee e Kirby) ed il 1991 (fine della gestione Claremont). 

Siamo a Hollywood negli anni '40, periodo di paranoia comunista e liste nere che mettono al bando professionisti dello spettacolo con - reali o presunte - simpatie rosse. Charlie Parrish, sceneggiatore dalle alterne fortune, a causa di un disturbo post-traumatico da stress si ritrova a dover fare i conti con il blocco dello scrittore ma, quando sembra che le cose non possano andare peggio di così, si risveglia da un doposbornia con a fianco il cadavere della sua amica Val Sommers, la star del film a cui Charlie sta lavorando.

Dopo alcune biografie a fumetti come Peppino Impastato, un giullare contro la mafia e Jan Karski, l'uomo che scoprì l'olocausto, l'affiatato duo siciliano composto dal giornalista e sceneggiatore Marco Rizzo e dal disegnatore Lelio Bonaccorso ha deciso di cimentarsi con un tema, oggi più che mai, di grande attualità come quello dei flussi migratori nel Mediterraneo. Tante storie di uomini e donne in fuga che, come dei piccoli torrenti, confluiscono in un mare di disperazione.

Orazio Labbate è un giovane autore siciliano con una smodata passione per il gotico. Ha al suo attivo due romanzi, Lo Scuru (2014) e Suttaterra (2017) in cui ha miscelato le sue radici siciliane con la  letteratura nordamericana (il suo blog, non a caso, si chiama Sicilia texana). Restando sempre nel territorio dell'orrore, adesso Labbate ha confezionato un volume decisamente inusuale per Centauria Libri: l'Atlante del Mistero.

Da dove proviene la recente serie Netflix?

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