E’ vero: per molti di noi - figli di quel periodo - gli anni ’80 rappresentano un calderone pieno zeppo di ricordi entusiasmanti. Fare colazione la mattina guardando scorrazzare Tom Selleck per le strade di un’isolotto del Pacifico a bordo della sua Ferrari 308 GTS, registrare sulle proprie musicassette brani di dubbio gusto come I like Chopin o Moonlight Shadow, cercare in maniera ossessiva l’ultima figurina mancante per completare l’album Panini (maledetto Tacconi che mi guardavi con occhi di sfida dall’album del mio compagno di banco). Certo, a noi giovani e inesperti esploratori del mondo sembrava (e sembra) che tutto questo fosse meraviglioso, forse anche a causa dei ricordi felici legati alla nostra tenera età. Tuttavia, va detto (anche se a malincuore) che quel periodo non ha di certo rappresentato un’epoca d’oro dal punto di vista artistico e culturale. Ma, come la storia ci insegna, proprio dai periodi storici più piatti dal punto di vista creativo possono nascere movimenti di reazione davvero molto interessanti. In particolare e con specifico riferimento al campo fumettistico, intorno alla fine degli anni ’80 iniziavano ad emergere nuove case editrici di fumetti indipendenti che alimentavano nuovi talenti e sfidavano la popolarità delle ben più commerciali e blasonate concorrenti. Artisti che tentavano di imporsi al pubblico con mezzi differenti rispetto a quelli visti fino a quel momento; e che riuscivano ad emergere evitando storie tradizionali e creando personaggi crudi, anarchici e imprevedibili.



Quando la rivista Deadline fu pubblicata per la prima volta nell'ottobre 1988, essa rappresentò da subito uno sbocco creativo per artisti e scrittori che, pur lavorando nel campo fumettistico, non erano interessati a supereroi tradizionali. Una nuova ondata di sfacciati creatori della cultura pop come Brendan McCarthy, Phillip Bond, Shaky Kane e Brett Ewins, figli della rivoluzione culturale degli anni ‘70 e in costante ribellione nei confronti di un decennio di governo conservatore (Reagan e Thatcher). Tra i pionieri di questo movimento artistico-anarchico-rivoluzionario spiccano due nomi come quelli di Alan Martin e Jamie Hewlett. Le loro passione per la cultura pop del periodo, unita ad uno spirito originale e anticonformista, ha dato vita ad uno dei personaggi più memorabili mai apparsi su Deadline: un’anti-eroina punk con poco rispetto per l’etichetta e la bocca piena di imprecazioni: Tank Girl.
Hewlett e Martin - compagni di college e amici sin dal 1986 - sembrano completarsi e alimentarsi l’un l'altro, esponendo nell’opera in parola i propri gusti e le proprie inclinazioni artistiche. La coppia attinge a piene mani dalle trasmissioni televisive, dalle tendenze musicali e, soprattutto, dalla cultura pop della fine degli anni '70, mostrando, però, una rappresentazione della realtà assai distante rispetto a quella fatta vedere dai loro predecessori. I due artisti creano un mondo fatto di alcool, seni ed esplosioni, spargendo in ogni striscia un’infinità di riferimenti alla TV, al cinema o alla musica del periodo. In questo illogico universo post-apocalittico si muove Tank Girl, mercenaria al soldo di chi può permetterselo, sempre pronta a partire per missioni tanto folli, quanto senza senso. Accanto a questa insana antieroina, compaiono personaggi tra i più improbabili, come Booga, Camp Koala Steve, Sub Girl e Jet Girl. Personaggi talmente caotici e politicamente scorretti da sposarsi perfettamente con l’universo distorto di Tank Girl.

Il fumetto alterna scene violente e scandalose a siparietti degni dei migliori Monty Python, pur non perdendo mai quella nota satirica e di contestazione che contraddistingue l’opera in ogni suo passaggio. Ed è proprio questo che colpisce il lettore di Tank Girl: la capacità di sfornare storie divertenti e prive di senso, pur rimanendo sempre originale e intelligente. Inoltre, è interessante notare come un fumetto con più di  20 anni sulle spalle mantenga perfettamente intatta la propria attitudine satirica e comica. Hewlett e Martin hanno fatto a mio avviso un lavoro incredibile, tanto da rendere Tank Girl talmente attuale da riuscire a colpire i lettori di oggi, almeno quanto quelli del 1988.

Naturalmente, i disegni, la prosa e l’impaginazione delle vignette contribuiscono a rendere unica quest’opera. Personaggi stereotipati e caricaturali, un linguaggio brillante e divertente, unito ad un’originale disposizione delle tavole - sempre dettagliate e magistralmente inchiostrate - rende perfettamente l’immagine punk e anticonformista che gli autori intendono trasmettere al lettore dell’opera.  Un’opera che a mio avviso risulta fondamentale per cogliere appieno il fermento culturale del periodo e la crescente voglia di cambiamento che hanno caratterizzato la fine degli anni ’80.

Non solo, ma Tank Girl rappresenta anche il manifesto di una rivoluzione sessuale in costante ascesa in quegli anni. In tutti i fumetti dell’epoca le supereroine venivano disegnate con caratteristiche fisionomiche utili a soddisfare le fantasie maschili adolescenziali (e non), senza avere nulla - in termini di identità sessuale – in comune con le donne reali. Tank Girl è la prima eroina dotata di una sana libido, perfettamente a suo agio con il proprio corpo e cosciente dei propri desideri e della sua sessualità. Addirittura la nostra eroina skinhead si trova in più occasioni a minacciare gli stessi autori del fumetto (abbattendo così la c.d. quarta parete), ogni qual volta gli stessi cercano di mostrare il suo corpo nudo.

In definitiva, siamo di fronte ad un’opera importante non solo sotto il profilo stilistico e dei contenuti, ma anche dal punto di vista storico e del costume. Un fumetto che Panini ha giustamente deciso di riproporre in una pregevole collana che ci presenta le storie di Tank Girl rispettando l’ordine cronologico e l’originale bianco e nero. Un albo che mi sento di consigliare vivamente a tutti gli appassionati di fumetti e più in generale della cultura pop a 360°.

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