A trent’anni di distanza, Buronson e Hara tornano con l’ultimo tassello del grandioso mosaico che li ha resi famosi in tutto il mondo: Hokuto No Ken – LAST PIECE 

… E finalmente abbiamo potuto leggerlo per intero!

A partire dallo scorso settembre, quando è stata diramata la notizia, ne abbiamo parlato, abbiamo fatto ipotesi, ci siamo rallegrati, abbiamo nutrito dubbi ma, soprattutto, abbiamo atteso.
Ora, finalmente, dopo la prima parte pubblicata lo scorso mese su Comic Zenon, il famigerato episodio inedito di Hokuto No Ken, creato appositamente per celebrare il trentennale della serie e che vede riuniti di nuovo gli autori originali (coadiuvati dal sempre presente Nobuhiko Horie), è qui fra noi in forma completa, pronto per essere sviscerato a dovere.

Nota: la medesima recensione, completa di gallerie di immagini, la trovate a questo link


TRAMA 

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Ci ritroviamo in un periodo che precede di poco il ritorno di Kenshiro visto nella serie regolare. Bart e Lin sono cresciuti e impegnati a combattere contro le forze dell’Impero del Cielo. Entrambi sentono la mancanza dell’unico uomo che potrebbe aiutarli, ma non sanno che quell’uomo è ormai divenuto l’ombra di se stesso…
Kenshiro ha infatti ceduto allo sconforto dopo la morte di Julia, tanto da divenire irriconoscibile. Anche Re Nero non riesce a comprendere come Kenshiro sia potuto crollare in questo modo e, nel frattempo, stringe un legame d’amicizia con il giovane Shooza, figlio di Juza.

Le giornate trascorrono nella quiete più totale ma, come ci insegnano Buronson e Hara da ormai trent’anni, è proprio questo il momento in cui il male, nelle fattispecie incarnato dalle forze imperiali, decide di scatenarsi e seminare morte e distruzione. Niente di meglio per far tornare Kenshiro a combattere, direte voi, e invece…
Ken ha ormai perso la voglia di vivere. Non riesce più a reagire. Un Kenshiro inedito, che nessuno si aspettava, ma che sembra sopraffatto dal vuoto lasciatogli dalla morte di Julia e di quasi tutti i suoi amici e rivali. Re Nero, con una certa dose d’irruenza, prova a scuoterlo da questo torpore, ma senza il minimo risultato. La situazione, inevitabilmente, precipita. Il villaggio subisce l’assalto dell’esercito nemico e alcuni bambini vengono presi espressamente per essere portati via e giustiziati in modo da impartire una lezione ai poveri innocenti appena sottomessi. Ma Shooza e Re Nero non ci stanno. Tuttavia, come era facile prevedere, pur avendo coraggio da vendere, Shooza soccombe di fronte alle schiere nemiche ed esala l’ultimo respiro tra le braccia di Ken, che lo raccoglie dalla groppa di Re Nero, il quale è riuscito a sottrarsi alla battaglia riportando numerose ferite e perdendo un occhio. Kenshiro non riesce a capacitarsi della situazione, ma Re Nero decide di risollevarsi e dargli l’esempio. In una sequenza di immagini memorabili, il guerriero sopraffatto dal dolore e il poderoso destriero ferito si specchiano l’uno nell’altro. Per quanti dardi lo abbiano colpito, Re Nero non cede e così si aspetta che faccia Kenshiro, benché la sua vita sia stata segnata profondamente da continue tragedie. E Kenshiro finalmente comprende. Comprende di aver smarrito qualcosa di molto importante, qualcosa che deve assolutamente recuperare. Attraverso un pianto quasi “liberatorio”, l’eroe riesce a scrollarsi da dosso quel senso di vuoto che lo attanagliava. L’abbraccio, fortemente simbolico, non solo sancisce il ritrovarsi dei due amici, ma anche il ritrovare, da parte di Ken, il suo vero io.
Giunge quindi il momento della riscossa…

Kenshiro è di nuovo tra noi e, per testimoniarlo, sottopone il malvagio Darja al colpo Hokuto Sengoku Rakki Ken (??????? – Colpo dello Spirito Carico di Infinito Dolore di Hokuto), descrivendo proprio la sua nuova presa di coscienza. Tutto quell’immenso dolore che era straripato e che lo aveva abbattuto, ora si è di nuovo trasformato in rabbia e sete di giustizia!
L’epilogo ci mostra il rinato guerriero mentre si incammina ancora una volta sul sentiero tracciato per il successore della Divina Scuola di Hokuto, intenzionato a fare in modo che quanto accaduto all’indomito Shooza non si verifichi anche per Bart e Lin.

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GIUDIZIO

C’è da dire che era lecito aspettarsi il peggio, perché le premesse c’erano tutte: Il tratto del maestro Hara ormai distante dai canoni dell’epoca, una storia che aveva già detto tutto quello che c’era da dire, l’esiguo numero di pagine a disposizione… insomma, io stesso ero uno degli scettici. E invece, mai sono stato più contento di sbagliarmi! Già nei giorni precedenti l’uscita, man mano che venivano rilasciate le immagini, avevo capito che dovevo stare sereno. Perché quando Tetsuo Hara e Buronson hanno deciso di rimettersi in gioco non l’hanno fatto per un vezzo, ma per confezionare un racconto scevro da prevedibile fan service e indirizzato a quella stessa generazione che con l’universo di Hokuto è cresciuta !

Ma andiamo con ordine: Prima di tutto parliamo di ciò che ci colpisce fin da subito, ovvero l’aspetto grafico: Il lavoro svolto dal maestro Hara nel far rivivere Kenshiro e gli altri protagonisti della storia attraverso uno stile nuovo ma d’impatto. Se un tempo le sue fonti di ispirazione erano grandi artisti come Frazetta, oggi vediamo chiaramente una poderosa “virata” verso un tipo d’arte legata più alla propria tradizione (ne parlammo in questo articolo). Non c’è quindi da stupirsi se, dopo tanti anni, il tratto del maestro non è più lo stesso, bensì c’è da “esplorare” a fondo questo suo nuovo modo di esprimersi sulla carta, senza lasciarsi prendere la mano da giudizi superficiali e minati in buona parte dalla nostalgia. 

Per prima cosa bisogna capire che ogni mondo che Tetsuo Hara ha creato per i propri manga, che si tratti di quello selvaggio ed apocalittico di Hokuto No Ken, quello ipertecnologico e spietato di Cyber Blue o quello valoroso e poetico di Hana No Keiji  (solo per citare i più famosi), si divide secondo una visione molto semplice ma al contempo efficace: l’ordinario e lo straordinario.

Quando Hara ritrae l’ordinario, si esprime in maniera sempre curata ma non appariscente. In questo caso è anche facile notare, a volte, dei punti in cui magari delega agli altri membri del suo studio (che in passato, giusto per ricordarne uno, ha sfornato autori del calibro di Masanori Morita…) e non ci si deve aspettare altro che, appunto, l’ordinarietà.

Il “mondo ordinario” dipinto da Tetsuo Hara è particolareggiato ma rispetta dei canoni. Non “emerge” mai dalla pagina, non pulsa di particolare vitalità. Rappresenta alla perfezione la vita comune, a volte anche inutile, che la massa preferisce.

Tutto questo fa da ragionato contraltare allo straordinario: quella parte di mondo, spesso esigua, che Hara popola di grandi eroi. Ed è proprio per via della sua continua ricerca delle caratteristiche peculiari dell’eroe, che egli sforna oggi figure da mitologia antica, sospese tra l’immaginario e la vera e propria leggenda. Ne è un esempio il “restyling” di Re Nero:

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Il gigantesco destriero di Raoh, l’uomo che ambiva a stringere il Cielo nel proprio pugno, oltre ad essere uno dei protagonisti principali di LAST PIECE, è anche l’elemento che meglio riesce a descrivere questo nuovo modo di Hara di intendere il disegno. Per quanto possiamo essere affezionati al “vecchio” canone estetico di Hokuto No Ken (e dei manga meno recenti del maestro, in generale), non possiamo assolutamente negare che qui ci si trova su tutt’altro pianeta rispetto al passato. Perché non si tratta più di rappresentare personaggi dall’aspetto potente, bensì di personificare la potenza stessa! Guardate di nuovo Re Nero e avrete ben chiaro quello che sto cercando di dire: Se un tempo appariva come un cavallo fuori dal comune, spaventoso, oggi sembra la vera e propria materializzazione della forza della natura. Un’apparizione mistica che incute timore reverenziale.

Anche Kenshiro  in LAST PIECE vive proprio una specie di “sdoppiamento” grafico, se così si può dire, che a sua volta non fa altro che confermare quanto detto poco fa circa l’ordinario e lo straordinario visto dall’ottica di Hara. Basta fare un semplice confronto tra il Ken della prima parte e quello che si reca a vendicare Shooza. Due persone diverse. Il primo è ormai una figura dall’aspetto miserevole, mentre il secondo riacquista tutta la fierezza tipica del personaggio.
Similmente, ma in maniera opposta, la figura femminile (da sempre il “volto angelico” dell’opera) che un tempo Hara rappresentatava comunque in maniera molto “carnale”, è andata assottigliandosi nelle forme fino a divenire un’apparizione eterea e sfuggente. Si può dire che questo sia quasi il “traguardo” che il maestro si prefissava per l’aspetto delle sue donne.

Ma passiamo ora al messaggio di questo LAST PIECE. Come ho scritto poco più su, Hokuto No Ken è una serie che ha già detto tutto quello che doveva dire trent’anni or sono. Se nel 1996, anno in cui è stato pubblicato il romanzo “Jubaku No Machi”, Buronson aveva scelto di omaggiare quelli che erano i punti chiave della serie classica, riproponendoli sotto altra forma ma in buona sostanza ripetendo concetti già trattati in abbondanza, qui ha fatto qualcosa di più coraggioso ma anche più in linea con il suo proprio essere: dettare un messaggio completamente nuovo. Perché sarebbe stato facile riempire 80 pagine di punk, cazzotti, esplosioni, frasi epiche e deja vù vari, ma non era evidentemente questo l’intento del maestro. Confesso che, di primo impatto, anche io volevo prendere a schiaffi Kenshiro: Un tempo abituato a reagire ad ogni tragedia, l’eroe sembra aver davvero perso la sua stessa anima. E’ davvero irriconoscibile, proprio come lo stesso Buronson lascia sottolineare ad alcuni passanti che lo osservano da tempo. Chi però non si è fermato a questa prima impressione, è stato in grado di leggere questo crollo di Ken in molti modi diversi. C’è chi vi ha visto lo straripare di tutto il dolore di cui l’eroe si è fatto carico per anni, chi un parallelo con il protagonista agonizzante di Kenshiro Den, chi ancora vi ha visto finalmente il vero lato umano di Ken. Tutte interpretazioni validissime che, già da sole, fanno capire quanto sia stata ragionata e mirata la scelta di Buronson di gettare il personaggio in questo stato di prostrazione emotiva. Questa volta non è come al solito, perché il maestro forza i suoi lettori a partecipare: Questa volta tocca noi a farci carico della tristezza di Ken.

E quindi a noi è lasciato il compito, singolarmente, di elaborare quel dolore. Per questo cercherò ora non di dare una spiegazione “oggettiva” del messaggio di LAST PIECE, ma di illustrarvi la riflessione soggettiva che è stato in grado di innescare in me.

Partiamo allora dal presupposto che il target primario di questo episodio è un pubblico composto in prevalenza da adulti che, almeno per quanto concerne il Giappone, conoscono la serie da tre decenni e sono cresciuti conservandone nel cuore il ricordo ed i valori trasmessi. Valori di altri tempi, valori che, sempre più spesso, sembrano opposti a quelli dell’odierna società. Questa generazione di persone si ritrova oggi a “combattere” contro una crisi mondiale che non riguarda solo il lato economico (fin dagli anni ’90, in Giappone, è stato istituito un “telefono amico” per confortare le persone disperate dalla perdita del lavoro), ma anche gli affetti (i matrimoni naufragano sempre più spesso) e i sentimenti (è il Paese che registra il più alto tasso di suicidi nel mondo: uno ogni 15 minuti!). Una situazione dalla quale è facile lasciarsi sopraffare, in special modo perché di certo, essendo cresciuti negli anni ’80, il famoso periodo della “bolla economica”, i fan di tale generazione nutrivano aspettative e speranze migliori verso il futuro.
E più rileggo le pagine di LAST PIECE, più guardo Kenshiro e più mi convinco che egli stesso rappresenta quella generazione. Persone che, ed è il caso di dirlo, purtroppo non solo in Giappone, ma in tutto il mondo, devono vedersela con “nemici” spesso più grandi di loro. Nemici in grado di portargli via ogni cosa, anche la stessa voglia di vivere.
Ma lo sconforto, l’inattività, ci dice Buronson con la sua parabola, NON sono la via.
Perché non dobbiamo mai dimenticare che al mondo non siamo soli: C’è sempre almeno un amico leale, pronto anche a darci una violenta scossa pur di risvegliarci. Ci sono sempre persone che fanno affidamento su di noi e che sarebbero perse se cedessimo al baratro. E allora è il momento di riflettere e di reagire: Non concentriamoci solo su noi stessi e sui nostri problemi, troviamo la forza di rialzarci prima che sia troppo tardi! Non colpevolizziamoci eccessivamente, pensando che la fonte di tutto sia da imputare sempre e solo alle nostre azioni o a qualche errore commesso in passato. Riprendiamo in mano la situazione e, se la vita continua a colpire duro, noi dobbiamo colpire ancora più duro. Vivere da veri guerrieri, combattere fino in fondo anche quando hai perso completamente la speranza: questo, per me, è il significato di Hokuto No Ken – LAST PIECE e, per quello che mi riguarda, ringrazio i maestri Buronson e Tetsuo Hara per averlo scritto e disegnato. 

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